A te che non passi il tuo tempo su Facebook e perdi il tuo tempo in un altro modo e pensi che non sia tempo perso. A te che non perdi tempo prezioso e a te che lo perdi ma non lo vuoi ammettere vorrei chiedere di provare a immaginare l'immigrazione, quel flusso inarrestabile di persone che scappano da luoghi di sofferenza cercando di salvare se stessi e i propri figli da atrocità e morte, come un'opportunità. Forse l'ultima. Come l'estremo tentativo di ravvedere un'umanità sull'orlo del precipizio che un Dio beffardo o chi per lui dona al popolo degli uomini, ma anche delle donne, dei bambini e delle bambine, degli animali e a tutto il resto per ravvedersi. Per ritrovare quell'umanità perduta in secoli di barbarie applicata sul pianeta da velleità religiose, economiche e altri egoismi che hanno imperversato soprattutto in quei luoghi che oggi generano ancora violenza e terrore. Un'ultima chanches per mescolarsi, guardarsi e rispecchiarsi nell'altro, negli altri e vedere che “sono donne e uomini, bambine e bambini” proprio come noi e che dipende da noi se il mondo oggi e dopo è e sarà più o meno bello per tutt*. Questo esodo dalla sofferenza genera mondi che s'incontrano, occhi che s'incrociano dando loro la possibilità di conoscersi, riconoscersi e capire le vite degli altri e anche la propria. Penso che in questo ci sia l'antidoto all'odio, da qualsiasi parte, regione o ragione provenga. Occorre però guardarli quegli occhi, incrociare quegli sguardi. Bisogna saper vedere quella flebile luce nel buio.
Qualche giorno fa in un incontro si parlava di empatia... m'è piaciuto quell'incontro e l'ho detto e lo confermo e ricordo lo slogan della mostra che ha inaugurato, tempo addietro, il museo dell'Empatia a Londra: mettersi nelle scarpe dell'altro!
Pao. Ma. (18 maggio 2016)
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