10 giugno 2012

Pietro l'ultimo mugnaio del primo Mulino sull'Arno


il borgo oggi
di Paolo Maggi

La giornata era limpida e l’acqua così fresca e stillata da invitare anche le trote a danzare.  Risalendo quel tratto d’Arno, ancora giovane ruscello, in un inizio di primavera di un anno in cui i telefoni erano soltanto attaccati alle pareti o su scrivanie,  non m’ero reso conto che era quasi l’ora di pranzo e che sarei dovuto tornare a Firenze, da chi m’aspettava. D’improvviso fra gli alberi apparve un piccolo borgo. Come un miraggio, incastonato su una parete di una casa malandata dardeggiava uno di quei cartelli tondi, gialli e blu che indicano, indicavano le cabine telefoniche.
Il mondo, la natura mi rispondeva, corrispondeva.
Qualche gallina e un paio di gatti s’affacciavano incuriositi ma sotto e intorno a quel cartello di cabine telefoniche nemmeno l’ombra!
L'Arno a Molino di Bucchio (p. maggi)
Pareva non ci fosse proprio nessuno. Con voce sempre più alta cercavo di far sentire la mia presenza finché un uomo, ecce homo, uscì da una porta. Barba lunga e incolta. Buchi e strappi facevano capire che indossava due o tre maglioni e altrettanti pantaloni, uno sopra l’altro. 
“Quel cartello è li da anni, da quando questo era come un porto di mare. La cabina c’è ancora ma non il telefono“  disse, invitandomi ad entrare. 
Non c’era un vero e proprio pavimento. La cabina c’era, appena entrati sulla sinistra. Ricordo un tavolo con sopra un fiasco di vino e un bicchiere forse in fondo alla stanza, a sinistra accanto ad una finestra. Sulla parete di destra la cucina economica, l’acquaio e una porta.
Mi fece sedere e mi offrì da bere. Il bicchiere  lasciava molto a desiderare ma il vino era buono e la diffidenza si dissolveva mano a mano che il fiasco si alleggeriva.
Pietro viveva solo nel borgo di Molino di Bucchio fino a qualche tempo prima “porto di mare”, condiviso con il fratello. Da quell’uomo all’apparenza ruvido sgorgavano ricordi che popolavano quel borgo fantasma animandolo di mille attività: il ristorante, il mulino, l’allevamento di trote con le vasche in pietra e poi ancora gli animali e il maneggio.
La giostra s'interruppe con la morte del fratello per una caduta da cavallo. Quel maledetto incidente cambiò tutto. Su Molino di Bucchio si accanirono appetiti e interessi fino ad allora rimasti estranei. Probabilmente Pietro finché ha potuto, ha resistito.

Le vasche per le trote (p. maggi)
Quell’incontro durò forse un'ora o forse due, poi dovetti scappare, dovevo dare notizie a chi m'aspettava.

In una giornata limpida e fresca di primavera di un anno in cui ci sono più telefonini che persone, sono tornato nel vecchio borgo. Le case sono restaurate. Le finestre hanno tutte le tendine ma non c’è più quel cartello giallo e blu e nemmeno le galline e i gatti ad accogliermi.
C’è comunque un monumento ai caduti partigiani ma non ho incontrato nessuno. Rovistando nei miei ricordi che si aprivano su quell'incontro come fosse stato ieri, nonostante una memoria spesso fallace, sono tornato a casa, dove non m'aspettava nessuno e ho cliccato su 


Situato lungo la strada provinciale 556 che da Stia conduce a Londa, Molin di Bucchio è tra i più antichi mulini dell’intero territorio Casentinese.
Pietro

Appartenuto ai conti Guidi di Porciano, oltre all’attività di molitura portata avanti dalla famiglia Bucchi per oltre 700 anni, Molin di Bucchio è stato anche sede di un’importante troticoltura.

La valle del Casentino, area di valore storico e naturalistico, è terra di castelli, santuari, monasteri, borghi medievali e foreste. Mantiene il fascino di un territorio fatto di antiche tradizioni e ricco di un patrimonio artistico, religioso e storico. Raggiungibile in auto da Firenze, Passo della Consuma S.S. 70, Passo di Croce a Mori S.S. 556; da Arezzo, S.S. 71; dalla Romagna, Passo della Calla S.S.310, Passo dei Mandrioli S.S.71.

L’ultimo mugnaio è stato Pietro Bucchi detto anche Pietrone che, per la sua lunga barba e l’aspetto distaccato, veniva chiamato “filosofo”.

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